Quando è la comunicazione a causare una crisi


Il caso Napoli-Osimhen e i rischi di un approccio settoriale e decontestualizzato nella comunicazione.

Quando è la comunicazione a causare una crisi

È il caso che tiene banco tra gli appassionati di sport e i professionisti della comunicazione. A seguito di due video pubblicati dal canale TikTok ufficiale del Napoli, Victor James Osimhen, fuoriclasse della squadra e giocatore simbolo della squadra campione d’Italia, ha deciso di rimuovere tutti (o quasi) i post che lo ritraggono in maglia azzurra sul proprio canale Instagram e addirittura ha minacciato di adire le vie legali contro il suo club.

Di solito, la comunicazione è lo strumento con cui le aziende cercano di risolvere uno stato di crisi. In questo caso, invece, la comunicazione è stata proprio la scintilla che ha fatto esplodere il caso. Un caso già diventato di studio, sia per la fama degli attori in gioco, sia per gli elementi innovativi che lo caratterizzano.

La tempesta perfetta. Un caso che ha già fatto scuola.

Alla base di una crisi possono esserci diversi fattori. Molte volte, quando un’organizzazione (un’azienda o un’istituzione) o un personaggio si ritrovano in uno stato di crisi, questo succede per fattori esterni. Questo capita ad esempio alle aziende che subiscono le conseguenze di uno scandalo che coinvolge fornitori, o alle istituzioni che vedono precipitare la propria reputazione a seguito di dichiarazioni inappropriate di loro membri o affiliati.

Quello di Osimhen e del Napoli, invece, è un caso insolito in cui la vittima dello stato di crisi è essa stessa carnefice. E a rendere il tutto ancora più eccezionale c’è un’arma apparentemente innocua.

TikTok è infatti il più scanzonato, e se vogliamo rilassato, di tutti i social media. Quantomeno per aziende e brand, che sanno che la loro presenza su questo canale deve rispettare dei codici e dei linguaggi in cui l’ironia la fa da padrona. In questo caso, però, il Napoli è andato oltre, pubblicando un video dai contorni razzisti seguito da un altro che deride il calciatore per aver sbagliato, nell’ultima partita, un rigore che avrebbe dato la vittoria alla squadra.

I contenuti sono stati pubblicati in un momento in cui i rapporti tra Osimhen e il suo club sono molto tesi, a causa delle prestazioni deludenti della squadra, dei dissapori tra il giocatore e l’allenatore e dei contrasti con la società per il rinnovo del contratto. Ma se il secondo post, in un contesto più sereno e pacifico tra i soggetti coinvolti, non avrebbe stonato nel flusso di sarcasmo che anima TikTok, il primo non ammette giustificazioni.

In questo caso, quindi, l’admin dell’account TikTok del Napoli è doppiamente colpevole: eticamente, per aver applicato un trend di TikTok, #imacoconut, incurante del significato che poteva avere per le persone di colore, e professionalmente, per non aver saputo, con il post del rigore sbagliato, leggere il contesto in cui il contenuto stava per essere inserito. Un contesto che suggeriva prudenza anziché sfrontatezza, un post in meno anziché in più. Per usare un gergo calcistico, si è trattato di un clamoroso autogol.

Il vero errore di fondo

Nella comunicazione è giusto e normale adattare il messaggio al canale. Diverso invece è quando il secondo prevarica sul primo, come nel caso che abbiamo analizzato. Questo accade quando si perde la visione d’insieme. Quando la comunicazione viene approcciata in modo additivo e non integrato. Quando si gestiscono i canali come entità a sé stanti anziché come parti organiche, funzionali a un unico grande disegno.

I professionisti moderni della comunicazione sanno che le crisi sono sempre dietro l’angolo. E che se i possibili fattori di crisi esterni possono essere mappati e quindi arginati, non ci sono rimedi agli errori interni.

Prevenire è l’unica soluzione. E la migliore arma di prevenzione è la formazione, specialistica e approfondita, che fornisca sia gli strumenti tecnici che la visione d’insieme per affrontare con successo anche le situazioni più critiche.

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